La scrittrice Stefania Lucchetti in viaggio a Praga
Quest’estate, per ragioni economiche, logistiche e di semplice stanchezza, mio marito ed io con i nostri figli avevamo inizialmente deciso di restare nella nostra casa al mare, senza viaggiare.
Mio marito, che per lavoro viaggia ogni settimana, desiderava riposarsi. Io invece, troppo stanziale tra figli e lavoro, sentivo il bisogno di cambiamento. Per la verità ogni estate si ripete la medesima discussione: io, provata dalla stanzialità e dalle lunghe vacanze scolastiche lunghi mesi di cura dei miei tre figli – simpatici (a volte) ma intensi – e lui, stanco per il continuo spostarsi.
Il compromesso è stato un viaggio relativamente breve in Europa, a Praga. L’occasione del viaggio in auto è diventato il momento per confrontare i nostri pensieri.
Mio marito, pur amando viaggiare, mi confida come ormai il il susseguirsi settimanale degli hotel in cui soggiorna nei suoi viaggi di lavoro gli sembri un urlo esistenziale. Ovunque vada, le stanze appaiono uguali, le reception degli hotel (i non-luoghi per eccellenza) un indistinto mélange culturale, dove ogni specificità si perde. Il dettaglio che più lo colpisce – e lo disturba – sono i dispenser di shampoo e bagnoschiuma verdi, sempre identici. Con il suo spirito filosofico, vede in questo una doppia verità: da un lato, una metafora dell’esistenza umana, ripetitiva e sempre uguale a se stessa; dall’altro, il simbolo dell’accelerazione spersonalizzante della nostra società.
Io, invece, in questo periodo particolarmente stanziale della mia vita, viaggio sempre con entusiasmo. Per me, il viaggio è tensione e scoperta. Basta un cambio di scena, anche solo una cena o una camminata in un posto nuovo, non necessariamente eccezionale ma diverso, per sentire una ventata di freschezza mentale. È l’occasione di staccare dalle routine, persino da quelle più virtuose e salutari.
Mi piace lasciarmi portare via – per un determinato periodo di tempo – dal movimento costante, che mi libera dalla necessità ma anche dalla possibilità di fare ciò che faccio sempre. In viaggio (con tre figli), le mie perfette e funzionalissime routine con si “sporcano”: la giornata diventa caotica, non riesco a compiere le solite azioni. E non nego che questo mi provochi a volte frustrazione ma nello stesso tempo credo che per cambiare e per cambiare bisogna, a volte, creare un po’ di caos.
Le routine sono simmetriche e rassicuranti
Le nostre routine quotidiane, che sono indubbiamente necessarie e funzionali alla nostra sicurezza e produttività, sono simmetriche e rassicuranti. Soprattutto per chi è molto produttivo e organizzato, sono perfettamente rifinite e pulite. Un viaggio ne interrompe il ripetersi quotidiano e ci costringe a guardarci con occhi nuovi. In questo senso almeno per me personalmente un viaggio, anche se faticoso, non è una vacanza per ritrovare se stessi ma è una vacanza da se stessi.
Un viaggio è una vacanza da se stessi
Una vacanza dalle proprie routine: funzionali o disfunzionali, virtuose o caotiche. Non ha importanza quali siano: sono sempre un video preregistrato della nostra vita, uno specchio che riflette sempre la stessa immagine. Uscire da se stessi costringe a rivalutarsi e rivalutarle. Obbliga a perdere tempo, come ci si perde in una città che non si conosce, o facendo colazione con calma in un giardino.
Nelle parole del filosofo Alan Watts (The Wisdom of Insecurity, 1951): “We must repeat: memory, thought, language and logic are essential to human life. But a person, a society, which is only half sane is insane.”
Allo stesso modo trascorrendo più tempo insieme, anche con i figli più grandi spesso occupati con i loro amici e sport quando siamo più stanziali, costringe a confrontarsi, spesso a litigare. Litigare è scomodo, spiacevole ma necessario: restare nei soliti schemi relazionali, anche quando funzionano, è pulito e ordinato, ma ci lascia fermi, in superficie. Non ci si dicono le cose per paura di modificare gli assetti. Litigare, invece, è come viaggiare: necessariamente si cambia, ci si sporca, ci obbliga ad andare più a fondo. E ritrovarsi con altri occhi.
Per una prospettiva romantica ad una buona litigata, la poesia Tutto lo sporco, nella raccolta Pomeriggi di amore sospeso, parla proprio di questo.
Clicca qui per conoscere meglio il contenuto di Pomeriggi di amore sospeso (Albatros, 2025) Le stagioni e maree dell’amore coniugale raccontate con voce calda e sensuale.

La poesia è cyberpunk (Albatros, 2025) la nuova silloge di Stefania Lucchetti che reinventa il linguaggio poetico nel XXI secolo
Macchie di caffè sui miei libri (Albatros, 2024): la cartografia emotiva dell’esistenza in poesia
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Stefania Lucchetti, nata a Verona nel 1975, ha pubblicato la sua prima poesia a soli tredici anni, durante un periodo vissuto negli Stati Uniti con la famiglia. Dopo il diploma al Liceo Classico “Dante Alighieri” di Gorizia e la laurea in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica del S.C . di Milano, ha intrapreso una brillante carriera nel diritto internazionale, esercitando come avvocata specializzata in commercio tra Milano, Londra e Hong Kong, conseguendo numerose qualifiche professionali. Autrice di saggi, è tornata negli ultimi anni al suo primo grande amore, la poesia. Bilingue, scrive e traduce le proprie opere in italiano e in inglese, con uno stile che riflette l’intreccio tra rigore e sensibilità, radici e orizzonti.
Con Albatros ha pubblicato le sillogi poetiche: Macchie di caffè sui miei libri (2024) e Pomeriggi di amore sospeso (2025).
Ha pubblicato anche: Women Breaking Through Leadership, Hong Kong, 2012; The Principle of Relevance- The Essential Strategy to Navigate Through the Information Age, Hong Kong, 2010; Ideas in Reality, Hong Kong, 2011; Dinamiche relazionali e decisionali dei gruppi di lavoro virtuali, Milano, 2024.